Dopo aver pubblicato cinque romanzi “a impianto storico”, incentrati sui grandi conflitti del Novecento, Stefano Tassinari torna al “passo breve” dei racconti. Dieci testi tutti legati tra loro e incentrati su personaggi e fatti reali: dall'ex chitarrista dei Rolling Stones, Brian Jones, ai due studenti uccisi dalle forze dell'ordine, Roberto Franceschi e Francesco Lorusso; dal Festival di Parco Lambro alla morte in un manicomio giudiziario dell'attrice del Living Theater, Carolyn Lobravico; dal "Bloody Sunday" irlandese ai desaparecidos argentini e all'ultimo prigioniero garrotato dal regime di Francisco Franco; dalla discussa eliminazione del leader del Black Panther Party all'apertura degli ospedali psichiatrici. Storie D'altri tempi, che ci riportano dentro gli ambienti generazionali, politici, culturali e psicologici degli anni Settanta.
“Ti ho visto scivolare verso il fondo di un’epoca più ripida di altre, con gli occhi rivolti al resto di una vita rimasta in bilico sugli anni, quelli appena sfiorati e quelli intuiti di lontano. Chissà, forse non ci saresti mai finito su quel fondo, se solo un attimo prima di scendere le scale avessi avuto il dubbio di non poterle risalire, né quel giorno di marzo né mai più, eppure le voci dei compagni e i suoni spenti degli spari sono stati un richiamo più forte di ogni legame istintivo con la vita, per quanto fosse ancor più forte delle parole adatte al sacrificio, tuo e di tutti quelli che hanno anteposto il credere in qualcosa al non credere in niente.”
>>>>>>>>>>> Commenti <<<<<<<<<<<<<
Libro veramente interessante che ho letto in due mezze giornate divorandolo letteralmente.
Avvincenti i racconti di un'epoca che non ho potuto vivere di persona perché ero troppo piccolo ma comunque narrati con maestria, nel leggerli sembrava di essere nella storia e vedere i fotogrammi degli episodi.
Molto toccante la storia dell'attrice Carolyn Lobravico che muore all'interno di un manicomio giudiziario...mi ha fatto veramente stare male
Claudio 01/06/2012
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Riannodati fili …
Sconosciuto è il luogo della mente dove,
un significato speciale,
si lega col passato.
Il silenzio, il ricordo, la musica …
intrecci conflittuali
diventano storie da ricordare
E la mente – che è in contatto con il cielo -
valica i confini del tempo che fu;
una cornice protegge
un universo privo di compromessi.
Riannodati fili cingono mille ricordi;
sono pronti a testimoniare
l’urgenza di un passato da tramandare.
Voci raccontano storie vissute.....
… e il vento trasporta una densa verità,
rimasta in bilico sugli anni,
da un’ epoca che lascia intravvedere un sole
capace di tramontare e di risorgere.
28 01 2012 Graziella
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Ho vissuto questa lettura come un viaggio breve ma intenso negli anni Settanta, un’esperienza profonda e toccante delle passioni e degli ideali di una generazione che ha lottato per cambiare la società in cui viveva. Come una scossa, ho sentito l’impulso di confrontarmi con i giovani di un’altra epoca, con i giovani “d’altri tempi …che hanno anteposto il credere in qualcosa al non credere a niente”.
19 01 2012 Carla
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1969 l’uomo metteva per la prima volta piede sulla luna, l’Italia era vittima di una delle più efferate stragi, un giovane cecoslovacco dava una svolta all’Europa, nello stesso anno l’icona del rock Brian Jones ci lasciava. Eventi e personaggi del secolo passato. D’altri tempi.
Non c’è da sorprendersi se la musica in questo libro riesce a trovare ampio spazio, tuttavia non bisognerebbe darlo per scontato.
Brian Jones un ribelle senza motivo particolare, come avrebbe detto un suo amico, autore di memorabili brani come la controversa “ Ruby Tuesday” solo per citarne una. E poi Milano, 6 anni dopo, con il suo parco e i suoi 100000 giovani, tutti lì, tutti insieme incantati dalle mani di Patrizio Fariselli e la marziana voce di Demetrio Stratos.
Eventi, musica, storie d’altri tempi, ma anche scelte significative e attuali.
Bisogna infatti riconoscere all’autore il merito di aver contribuito a far conoscere, emozionare e riflettere tutti coloro che, incuriositi dalle voci o da una donna felice in copertina, hanno potuto riprodurre,pubblicare, fotocopiare l’intero volume legalmente, per poi leggerlo.
Benigni ha ricevuto una candidatura al nobel per la sua opera di “ acculturamento “, perché non riconoscere qualcosa al nostro autore? Buona lettura!
18 01 2012 Riccardo
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Questo libro è emozionante! Un omaggio agli anni 70 per chi li ha vissuti ma soprattutto per chi non ricorda gli avvenimenti oggetto dei dieci racconti! Scrittore brillante e dallo stile anzi dagli ‘stili’ coinvolgenti che risveglia il bisogno di ognuno di recuperare la memoria storica non attraverso la fredda narrazione dei fatti ma ripercorrendo i travagli emotivi interiori dei personaggi che arrivano diretti al nostro cuore. In ogni racconto la narrazione del passato riesce ad arrivare a pungere il presente ed a scuoterci con forza, vitalità ed anche tanta malinconia…
“Se solo tu fossi qui, e non in un luogo sconosciuto della mia mente, che un tempo era e adesso non è più, potrei voltarmi indietro ad osservare lo stupore dei tuoi occhi, che guardano attraverso questa polvere di pioggia che ora m'allontana dal tuo cercarmi a vuoto nel silenzio di certe mattinate, che lì da te sono girate verso il mare e qui si perdono di vista in un istante, come noi due, in uno di quei giorni che ti sfuggono di mano e non li prendi più...” (A Passo d'ombra, 1976)
21 12 2011 Georgia
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Tra i vari racconti non potevo non soffermarmi su Bianco D’Irlanda…In un primo momento la lettura è stata accompagnata da immagini di ricordi personali di anni passati.. tra cui il concerto degli U2 nel 2001 a Torino, all’indomani della morte di Carlo Giuliani a Genova … di Bono che alle prime note di Sunday Bloody Sunday ci incitava alla non violenza… Poi sono entrata anche io nell’aula della commissione d’inchiesta… ho ascoltato le varie testimonianze, cercando di essere imparziale… e alla fine, riflettendo mi sono domandata : “possiamo negare la verità fino a far diventare verità ciò che non lo è?”… mi chiedo, quante volte il mio fazzoletto bianco è stato visto come un’arma?...e al contrario, quante volte ho scambiato un fazzoletto bianco per un’arma? Tante, e in entrambi i casi tutti eravamo convinti della nostra verità… Dunque ognuno sceglie la sua verità.. Forse, siamo un po’ tutti “soldati F” e “Presidenti della Corte Suprema di Inghilterra e Galles” … convinti della nostra onestà.
13 12 2011 Daniela
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Caro Stefano,
Ho avuto il piacere di partecipare alla presentazione del tuo libro “D’altri tempi” in occasione degli Incontri con l’autore tenutasi questa estate a San Benedetto del Tronto.
Vorrei partire proprio dalla dedica che mi hai lasciato dietro la copertina del libro “…sperando che dietro queste parole possa scorgere qualche emozione…”
Non so se di emozione si possa parlare, ma certamente un racconto mi ha particolarmente colpito ed è quello intitolato Via della Ghiara.
Mi ha colpito perché in poche immagini hai saputo descrivere quello che a mio parere è la mia condizione e credo anche quella di molti di noi. Ti potrà sembrare strano, ma quell’uomo malato di mete, Yoghi…. mi assomiglia tanto. Come lui infatti ogni giorno mi sveglio e salgo sul “tram” della mia storia personale e, … “e non mi stanco di guardare la città dietro il finestrino del tram”: ogni giorno ripercorro le “stesse” strade, le stesse immagini e soprattutto ripercorro i miei pensieri, nuovi, ma allo stesso tempi antichi. Come lui sono spettatore di quello che accade fuori, vedo e incontro persone, ascolto notizie e…altro e tanto altro ancora. Tutto questo può sembrare piatto, ordinario, eppure proprio questa quotidianità mi fa sentire vivo. Come Yoghi anch’io ho persone e amici simili a Rino, l’autista, coi i quali facciamo la stessa strada, persone che mi vogliono bene, che gli sono simpatico. “Rino” e gli “altri” hanno degli ideali, nutrono delle passioni, sanno cosa è giusto per me ed sono lieti di essere portatori di “buone notizie”. E ora qual è mai questa buona notizia? Che è giunto il tempo che io non viva più il mio quotidiano, perché è sbagliato, è ingiusto, e… e allora? E allora facciamo festa. Finisce finalmente qualcosa, ma cosa comincia?
Le cose stanno proprio così, l’immagine di quella scopa meravigliante che manda tutto in rovina , o della neve che copre tutto, assomiglia molto al tempo che ci trascorre addosso, che consuma tutto, anche le cose che sembrano le più solide. La buona notizia quindi qual è?
Che tutto ciò che ci sta intorno finisce, o deve finire, è certamente una verità incontestabile, ma non è una buona notizia, neanche un po’.
Credo che Yoghi, come me e ogni persona, sia in attesa di una Buona Notizia, quella, forse, che ci aiuterebbe a comprendere che ognuno di noi è parte di qualcosa che ci supera, che se anche la nostra vita fosse un fallimento totale, non per questo non saremmo incredibilmente indispensabili.
L’augurio che faccio a te e a me è che questa Buona Notizia ci venga a cercare e ci trovi presto.
Un caro saluto e un buon Natale a te e ai tuoi cari.
12 Dicembre, 2011 Paolo
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Finalmente ho letto 'D'altri tempi' !
E' vero, eravamo così! E come sono lontani quei tempi.
Io, che mi sento sempre come se avessi ancora 17 anni, sono rimasto di sale!
Eravamo così, così diversi e tanto più vivi di oggi. Questo libro mi ha fatto prendere atto che non ho più 17 anni, era ora! diresti tu, mi ha fatto invecchiare improvvisamente: io ero così, vivevo quei momenti, pensavo quelle cose... sì, sono stati anni di piombo, ma almeno eravamo vivi! Il libro mi ha lasciato anche due rimpianti.
Io le morti celebri del rock le ho vissute soltanto come 'miti', sono arrivato alla musica solo a quattordici anni nel 72, e già era successo tutto: Otis, Brian, Jimi, Janis, Jim... che miti! Ho avuto modo di dispiacermi solo per John e più tardi per Freddy e George, ma ormai ero adulto e non ho potuto 'disperarmi' come sarebbe stato lecito fare da adolescente. Sarebbe stato 'bello' poterlo fare.
1977, ognuno ha 'i suoi morti da ricordare'. Giorgiana Masi era nata due settimane prima di me, e la sua morte mi è rimasta appiccicata sulla pelle per tutti questi anni da allora come un'ingiustizia enorme che non si puó cancellare. Quando è morto Kossiga ho pensato 'finalmente il mandante dell'omicidio di Giorgiana se n'è andato! ' Lo so che non è così, e che non è giusto che io abbia solo questa opinione di Cossiga, ma avremmo avuto la maturità appena un paio di mesi dopo quel maggio, e proprio non è giusto che Giorgiana non possa averla data. Ho letto i vari racconti tutti d'un fiato fino al 1977, sperando di ritrovarla lì, ma non c'era. Fa niente, ognuno ha qualche amico in particolare da ricordare... Ringrazia per me Tassinari, gran bel libro!
26 10 2011 Pier
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D' altri tempi e' un libro che rende pienamente il fascino di un periodo cruciale e molto controverso.
Fa riflettere il confronto obbligato,dopo gli atti vandalici accaduti a Roma, tra le diverse generazioni e l'impegno politico. Quelle lotte che hanno rivoluzionato la società,permettendo un salto culturale enorme, non sono paragonabili ai cortei di protesta di oggi.Se i giovani degli anni '70 erano animati dalla voglia e la speranza di cambiare,oggi l'assenza di ideologie genera una sfiducia totale nel futuro. E' importante leggere questo libro perchè tanto impegno e sacrificio non possono essere dimenticati.
19 10 2011 Melissa
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D' altri tempi - prefazione
È difficile capire per
quale ragione, in Italia e solo in Italia, la forma letteraria
del racconto susciti un'immediata reazione
di diffidenza e di freddezza da parte dei lettori e,
di conseguenza, spinga gran parte degli editori, specie quelli medio-grandi, a tentare in tutti i modi di dissuadere gli autori
dall'insana idea di scriverne e, peggio ancora, di pubblicarne. Tra le tante ipotesi che mi sono balenate in testa, la più credibile è che il pubblico tenda a fare un'equazione
tra libro di racconti e crisi creativa, con
quest'ultima che, a sua volta, coinciderebbe
con i "fondi del
cassetto" riesumati per non perdere
l'appuntamento annuale
o biennale con le
librerie. A voler essere sinceri, casi di questo tipo se ne sono verificati parecchi, quindi i lettori perplessi non avrebbero
tutti i torti, anzi. Un' altra spiegazione possibile, sempre legata alla qualità,
potrebbe basarsi sulle "attese
tradite", dato che, essendo il
racconto, per certi versi, più impegnativo da scrivere rispetto a un romanzo (c'è meno spazio per le frasi riempitive
e per le pause; lo sforzo creativo per trovare un buon
finale viene
moltiplicato per dieci o per venti; non si può utilizzare lo stesso
linguaggio
per tutti i testi e così via), è più facile deludere i
lettori, i quali si difenderebbero semplicemente scegliendo di non correre
il rischio. Comunque sia, sta di fatto che
questo genere, nel nostro Paese, trova molte difficoltà ad imporsi, malgrado
nella formazione letteraria di tanti di noi, intesi anche come lettori, vi siano
eccellenti autori di racconti. Nella mia, ad
esempio, ci sono Julio Cortàzar, Italo Calvino, Raymond Carver, Antonio Tabucchi, la Christa Wolf di "Un giorno all'anno" e Gunter Grass de "Il mio secolo", solo per citarne alcuni. La speranza è che, nel giro di qualche anno, anche in Italia si
raggiunga la "pari dignità" tra racconti e
romanzi, e in attesa di quel momento non resta che ringraziare quegli editori, come "Alegre", disposti ad andare contro corrente rischiando in prima persona. Nello specifico, questo libro che esce a diciassette anni di distanza dalla mia ultima raccolta di racconti,
intitolata "Ai soli distanti" - non è un' antologia, bensì un lavoro a tema, incentrato su personaggi e fatti reali relativi al decennio che va dalla fine degli anni Sessanta a quella degli anni
Settanta. Due
di questi
racconti - "La dolcezza complice degli anni" e "Via della Ghiara" - erano già stati pubblicati in due libri collettanei ("In ordine pubblico" e "Piazza bella piazza"), curati da
Paola Staccioli e distribuiti dal
settimanale "Carta" e dai
quotidiani "l'Unità", "Liberazione" e "il Manifesto'. "A passo d'ombra", invece, lo scrissi a metà degli anni Novanta per inserirlo nel Cd letterario "Lettere dal fronte interno", mentre "Like a rolling stone" è lo stesso testo del reading con immagini e musica dal vivo dedicato a Brian Jones, che da alcuni anni porto in giro - assieme
a tre musicisti
e a una fotografa - in teatri, festival e centri sociali. "A passo d'ombra" - sorta di lettera scritta da un desaparecido argentino alla moglie che, dopo tanto tempo, lo sta ancora cercando -
è un
testo a cui
sono
particolarmente affezionato, forse perché, fin dai giorni del golpe del 1976, mi sono sentito vicino a tutta quella parte della mia generazione massacrata da una delle più violente dittature militari della Storia, ammesso che, in casi del genere, si possano stilare delle classifiche. Il brano su Brian Jones, invece, me lo sono "covato" dentro per decenni, fin da quando, all' età di tredici anni e mezzo, vissi come un vero e proprio dolore (quasi un lutto di
famiglia)
la notizia
della morte dell'ex chitarrista degli Stones, la cui scorrettezza comportamentale - dalla quale ho sempre preso le distanze - era pari al suo enorme talento musicale. D'altronde, quella dei Rolling Stones è tuttora la mia band preferita, e quindi sapevo che, prima o poi, le avrei fatto un piccolo omaggio letterario. Gli altri sei racconti li ho scritti di
recente, con l'obbiettivo di
proseguire e concludere un progetto iniziato con i primi quattro, in modo tale da aggiungere un altro piccolo tassello al mio lavoro sulla memoria, non condivisa, degli anni Settanta, a cui ho dedicato anche tre romanzi. Al centro di questi sei racconti ci sono sia vicende molto note (come la "Domenica di sangue" irlandese, l'assassinio del leader delle "Pantere Nere" George Jackson, il Festival di Parco Lambro, l'omicidio di Francesco Lorusso) che storie quasi sconosciute (come
la tragica fine di Carolyn Lobravico , attrice del Living Theater e moglie
dell' attore Wilhelm Berger) o un po' dimenticate (ed è il caso di quella relativa a Salvador Puig Antich, l'ultimo prigioniero politico garrotato dal regime di Francisco Franco). Tutte, però, hanno a che fare con quella che, allora, chiamavamo "la
protervia del
potere", per nulla scalfita, purtroppo, dallo scorrere degli anni.
Sefano Tassinari Bologna, febbraio 2011
1969 Like a Rolling Stone (lo specchio di Brian Jones)
Il mio nome è Jones. Brian Jones, come avrebbe detto il
vecchio Connery in uno dei suoi film. Anzi, lo era, visto che ho salutato il
mondo proprio sul più bello, un bel po' di tempo fa. E voi direte: be', che
importanza può avere il morire giovane per uno come te? Sei stato il
chitarrista geniale e sregolato dei Rolling Stones, mica di "Mike Berry
and the Innocents", o di "Goldie and the Gingerbreads"! E poi,
quei ventisette anni di vita te li sei goduti, su e giù per i palcoscenici e
per i corpi delle ragazze, che per accarezzare la tua frangetta bionda facevano
pazzie .... E l'immortalità del successo, dove la metti? Adesso sei là, nel
cielo delle rockstar, assieme a Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison, John
Lennon e pochi altri ...
E no, cari miei! Io, se potessi tornare indietro, quella
sera del 2 luglio 1969 me ne sarei andato a letto presto, anziché farmi quel
bagno in piscina, con 1'asma che mi soffocava e i pensierirapiti dall' alcool. Guardate un po' il mio amico Keith… .
Sì, certo, lui si è cambiato il sangue un sacco di volte (anche se lo nega), ha
il viso che si confonde con le rughe e tutto il resto, però ogni sera, quando
attacca "Honky Tonk Woman", si mette a saltare come un ragazzino,
mentre gli altri sessantenni si addormentano davanti alla tv coi nipotini in
braccio! E Mick? Che ne dite di lui, eh? Lui è sempre lì, con le labbra ancora sensuali, le mosse ambigue del
corpo e quell' accento ruvido del Kent che nessuno riesce ad imitare. Per non
parlare del vecchio Charlie, che quando suona se ne frega dei capelli bianchi, o del pacato Bill, così razionale da
chiudere la carriera un attimo prima del declino. E di me, invece, che cosa
rimane? La bella faccia da bambino
dispettoso, i figli che ho sparso in giro senza sapere nemmeno quanti fossero,
i racconti sui miei modi bruschi da "hippy chic", l'introduzione del
flauto dolce nella musica rock, la poesia di Shelley e il volo di tremilacinquecento farfalle con cui venne celebrata la mia
morte ad Hyde Park e... dunque, vediamo un po' ... ah, sì, il fatto che il nome
"Rolling Stones" l'abbia inventato io, il che, mi rendo conto, non è
poco. E poi i ricordi degli altri, ovviamente, quelle frasi che ogni tanto mi
riascolto per sentirmi ancora del giro, tipo: "Noi eravamo il gruppo di
Brian, e senza di lui il nostro piccolo complesso blues non sarebbe mai
diventato il più grande gruppo mondiale di rock'n'roll" (questa è di Bill
Wyman, non so se mi spiego), oppure: "Ha fatto innervosire molti, ma era
un tipo favoloso" (e questa, invece, è del grande Paul McCartney, perché
non è vero che noi e i Beatles ci odiavamo, anzi ... ). Voi non sapete quante
notti abbiamo passato assieme, così, a parlare di musica, a farci delle canne,
a ridere delle stronzate che scrivevano i giornali su di noi ... Io, poi, poco
prima di morire ho anche suonato il sassofono - che non era certo il mio
strumento - in un loro pezzo, "You know my name, look up my number" ,
il che fece dire di me a John Lennon: "Era
uno che poteva suonare qualsiasi cosa." Grazie, John. E pensare che la
prima volta che me li sono trovati davanti è stato proprio a un nostro
concerto, nel salone dello Station Hotel. Li vidicomparire all'improvviso sotto il palco, tutti e quattro
vestiti uguali, con delle giacche lunghe di pelle nera. Loro avevano appena
inciso "Please Please me" ed erano già delle celebrità, mentre noi facevamo ancora le doppie nei club, pomeriggio e sera……………..
Brano tratto dal primo racconto della raccolta D' altri tempi
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