Carlo Paci |
Per la morte dello stimato e valido presidente dell’Ordine
dei giornalisti delle Marche, Ermete Grifoni subentrai io, che ne ero il vice.
Nell’Istituzione l’idea di aprire una scuola di giornalismo
presso l’Università urbinate era già stata affrontata e toccò a me – con la
collaborazione del segretario Gianni Rossetti (che poi ne diverrà direttore) –
di affrontare la fase decisiva del progetto che trovò l’immediata approvazione
del Rettore Carlo Bo.
Si era intorno alla primavera del 1990 e il professor Carlo
Bo ci diede un appuntamento che diventò decisivo per la scuola.
A breve ebbi l’occasione di incontrarmi altre volte con il
“Magnifico” (come voleva essere chiamato) riuscendo perciò a catturare, quanto
più possibile, alcuni aspetti del suo carattere. Fisicamente era abbastanza
imponente, il volto con un’ espressione – se mi è permesso – di gatto sornione
pronto, però, a urlare ordini perentori.
Con una certa civetteria cercai di entrargli in grazia
perché avevo notato che suddivideva le conoscenze in gradite, meno gradite e
indifferenti. Questa graduatoria la si riscontrava platealmente nell’atto di
essere suo ospite all’interno della sua modesta stanza di Rettorato. Ai primi
veniva, infatti, offerto il vermouth e un biscottino prelevato dalla famosa
scatola di latta dei “Lazzaroni”. Alla seconda categoria solo il vermouth. Alla
terza l’invito ad accompagnarlo gentilmente alla porta, rivolto al fedele
“commesso”.
Lo stesso comportamento si rivelava negli inviti a pranzo,
al termine dei quali, alla prima
venivano offerti il caffè e una pasta (la scelta cadeva sempre sul bignè); alla
seconda solo il caffè, per gli ultimi non c’era nemmeno l’invito a pranzo.
Seppi dai suoi fedeli che era un appassionato raccoglitore
di ex libris ed io riuscii ad
ottenerne uno di Adolfo De Carolis che gradi enormemente. Ma il colpo di
fortuna fu su un aspetto fisico delle donne, per le quali lui nutriva altrettanto
nota attenzione.
Avvenne un giorno, all’uscita dal Rettorato, mentre ci recavamo al Circolo per il
pranzo, incrociammo un gruppo di
giovani donne, al che gli feci notare che le Urbinate avevano tutte delle belle
gambe impreziosite da eleganti muscolature dovute ai continui saliscendi della
città di Urbino.
Fu il colpo decisivo per entrare nella sua considerazione.
Al di fuori di queste noticine da considerarsi veramente di
poca consistenza cronachistica, il ricordo più importante di Carlo Bo è senza
dubbio il rispetto (a volte fino all’adorazione) del rapporto con la città e
gli Urbinati che apprezzavano le sue iniziative di alta cultura legate alla sua
statura di letterato, romanziere, poeta, critico, docente ed editorialista di
esclusive terze pagine.
Una simbiosi anche sul piano civile essendo stato per più
legislature a Palazzo Madama fino alla sua nomina a senatore a vita, ad opera
del presidente della Repubblica Pertini.
Nelle rare occasioni
in cui ho avuto la fortuna di ascoltarlo, quando i discorsi non erano solo
progettuali per la scuola di giornalismo, si rimaneva affascinati dalla
facilità di apprendimento dei suoi concetti sull’arte espressi con un gradevole
eloquio punto dottorale.
Dinanzi il suo curriculum di Magnifico Rettore (per 53
anni!) si rimaneva sconcertati ad
essergli vicini ed accettati.
Quando lo conobbi lui
aveva 79 anni, ma da tempo era già un monumento del sapere e la sua personalità
era già prestigiosa nel mondo della cultura. Eppure nel tratto era semplice,
sempre comprensivo, a volte sobriamente
ironico.
Concludendo, a dimostrazione della validità della scuola di
giornalismo presieduta da Carlo Bo, oltre a risultare la seconda – per
importanza - in Italia, dopo quella di Milano, ha creato finora oltre trecento
giornalisti molti dei quali di buona firma.
di Carlo Paci
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