Ammetto
di avere assaporato in solitudine il desiderio crescente di riuscire un giorno
a parlare della figura di Carlo Bo con il prof. Eugenio De Signoribus, poeta
ormai inserito a pieno titolo tra i grandi del nostro lirismo contemporaneo.
De
Signoribus fa parte di quel genere di uomini che non ostenta la propria
soddisfatta condizione, né tanto meno sceglie di farsi scudo del sapere
accumulato per porre in risalto la propria persona o arrogarsi il diritto di elargire
concetti come fossero verità di saggezza distillate. Non ne ha bisogno, perché
ha capito che compito di tutti noi, e del poeta più in particolare, è quello di
fondare un dialogo solido e duraturo con il prossimo incentrato su un moto di
comprensione, calda generosità dei modi, gentilezza d’animo elevata a gesto di
rinuncia di una parte di sé.
De
Signoribus ci suggerisce che se esiste un modo per trasmettere il proprio
bagaglio di esperienze esso non passa certo per le vie dell’imposizione o dell’altezzosità,
della protervia o dell’affettazione, quanto piuttosto per una lenta
decantazione dell’eco delle parole nell’anima dell’ascoltatore, lasciando che
esse si condensino accompagnate da piccoli gesti di amore: dalla tenerezza di
un sguardo alla pacatezza del tono, dall’intransigente purezza intellettuale
all’ascolto rispettoso.
Ecco
come si spiega la larga disponibilità con cui mi si è rivolto e per la quale mi
ha introdotto in aspetti anche “intimi” della propria esistenza con la
naturalezza e la gioia nascoste di una persona candida e trasparente. Prima
ancora che uno scrittore, in effetti, De Signoribus è un cittadino innamorato
del proprio paese che riflette, con amarezza ma anche con la giusta acutezza,
sullo stato di involuzione culturale, sociale, economica e morale della
nazione. Non è una stanca litania di critiche impietose, né il solito
vittimismo impotente, a cui gli italiani sembrano essersi da troppo tempo abituati,
quanto piuttosto un monito accorato.
Si
delinea allora in De Signoribus la
visione disincanta di un letterato addolorato dalle ferite inferte al proprio
paese da tutta una demagogia politica o, peggio ancora, da anni di
manipolazione ed offuscamento delle coscienze. Nonostante tutto, ciò che sembra
più rattristarlo è l’assenza di voci intellettuali critiche nei confronti di un
conformismo divorante che fa strame di ogni indipendenza di giudizio od anche
di un sentimento di sana indignazione contro l’acquiescenza montante, cresciuta
in maniera esponenziale.
A
De Signoribus, anche per una nobile discretezza e delicatezza di modi, con i
quali fa sì che a parlare siano i silenzi più che le parole, rendendoli
eloquenti di uno stato d’animo oppure sintomatici di un pensiero appena svolto,
pongo poche essenziali questioni circa il suo rapporto intellettuale e spirituale
con Bo, in cui è più che palpabile la nostalgia per una cultura “umanizzata”, vicina
ai veri rovelli esistenziali dell’uomo.
Alceo Lucidi: Prof. De Signoribus come
ha conosciuto Carlo Bo e quali sono i suoi primi ricordi del rettore?
Eugenio
De Signoribus: Le prime immagini di Carlo Bo sono quelle legate alla mia vita
di studente, quando frequentavo la facoltà di lettere dell’Università di
Urbino, allora un istituto il cui prestigio era riconosciuto unanimemente dalla
comunità scientifica nazionale. Ad Urbino Bo si era circondato di alcuni
intellettuali con i quali aveva già intrecciato contatti e scambi culturali
proficui durante il soggiorno fiorentino degli anni Trenta, così fecondo di
scoperte letterarie. Ricordo di avere avuto come professore di Storia dell’Arte
Alessandro Parrochi, del quale ho seguito gli interessantissimi corsi, ma anche
della presenza fecondante di Mario Luzi, che lo stesso Bo aveva voluto ad
Urbino come docente di letterature comparate. Al nucleo iniziale di insegnanti,
che si insediarono dopo la costituzione della facoltà, in quel lontano 1956,
vanno aggiunti i nomi di Mario Petrucciani, Claudio Varese e di Rosario Assunto
(che ha ricoperto la cattedra di estetica per 25 anni).
Comunque,
non ho mai avuto da studente rapporti particolari con Bo che vedevo come una
figura di intellettuale raffinato e compunto verso la quale si provava un certo
timore reverenziale oppure un profondo senso di rispetto. L’unico mio rammarico
è stato quello di non essere riuscito a sostenere con lui l’esame di
letteratura francese perché quel giorno, per via dei suoi innumerevoli impegni,
finì per essere assente e fui allora interrogato da uno dei suoi tanti
assistenti, un certo Piacesi. Il fatto di non avere potuto annoverare la sua
firma nel mio libretto di studente mi dispiacque proprio per l’alta stima e
considerazione in cui lo tenevo e per la precocissima personalità di
intellettuale, che aveva contribuito alla valorizzazione di decine di poeti del
periodo tra le due guerre mondiali - soprattutto francesi e spagnoli - con la
quale mi era noto.
Alceo Lucidi: Ad ogni modo,
successivamente ai suoi studi, ebbe modo di avvicinarlo ed entrare in contatto
con Bo, soprattutto quando il rettore si fece, per così dire, sostenitore della
sua poetica, in particolare attraverso uno scritto intitolato “Eugenio De
Signoribus: il nuovo classico della poesia italiana”.
Eugenio
De Signoribus: Si, in effetti l’articolo
del prof. Bo, apparso sulla rivista “Gente” ed ora raccolto in un libro
dedicato allo stesso Carlo Bo, intitolato “Citta dell’anima” e pubblicato dalla
casa editrice anconetana “Il lavoro editoriale”, ebbe una certa risonanza
nell’ambiente accademico urbinate e, prima ancora, in quello degli scrittori e
poeti locali. Purtroppo in senso negativo perché mi attirò una serie di
critiche e gelosie che francamente non mi aspettavo. Carlo Bo si esprimeva
certo in mio favore considerandomi come un poeta dai toni e contenuti originali
con avanti a sé un avvenire che si augurava roseo. Mi paragonava, inoltre,
operando un accostamento molto forte, a due voci autorevoli del panorama lirico
del secondo dopoguerra, come quelle di Gatto e Luzi, a loro volta scoperte e
valorizzate, per la freschezza del tono, da Eugenio Montale.
Ma,
a parte le polemiche, che sono sempre fini a se stesse e non aggiungono nulla
al dibattito, debbo dire che il prof. Bo, da quando si è accostato ai miei
scritti, ha sempre mantenuto un atteggiamento premuroso e accondiscendente nei
confronti della mia persona e, più in generale, della mia produzione poetica.
Nei
numerosi premi letterari ai quali ho preso parte ed in cui si trovava ad essere
un membro della giuria - penso, che so, al premio “Gentile da Fabriano”, dove adesso
siedo come giurato anche se non ritrovo più lo spirito del premio di un tempo e
di cui fui il primo, tra l’altro, a vincere nella sezione dedicata alla poesia
- si è sempre espresso a mio favore. A questo proposito ricordo un episodio
simpatico: una volta, alla consegna di un riconoscimento in seno ad un concorso
letterario, prima di stringermi la mano, mi fece l’occhiolino, come se volesse
testimoniarmi il suo apprezzamento nonostante fosse noto per la riservatezza
del carattere. Io che lo vedevo ancora come una persona estremamente composta
rimasi, a dire il vero, perplesso, anche se cominciava a maturare nei suoi
confronti un tipo di approccio che, ben lungi dall’essere fondato e segnato da
un sistema di relazioni ed incontri stabili, si riversò invece nel campo di una
frequentazione spirituale.
Alceo Lucidi: Può spiegarci cosa intende con quest’ultima
definizione?
Eugenio
De Signoribus: Intendo un rapporto non basato su una rete consolidata di
frequentazioni quanto piuttosto su un’intesa che si reggeva in base alle
letture incrociate di cose mie e sue, ad una certa complicità d’animo, agli
sguardi o ai cenni intrattenuti quando ci vedevamo nelle occasioni ufficiali,
alle riflessioni, soprattutto, a cui i suoi scritti mi inducevano. Debbo dire
che questa corrispondenza elettiva si è rafforzata nel corso degli ultimi anni
della vita di Bo, quando già il rettore era piuttosto cagionevole di salute.
Prima che ci lasciasse gli avevo anche spedito una lettera in cui lamentavo la
condizione generale dell’Italia, così deplorevole ed avvilente. Era un mio
sfogo, che non so neanche se Bo sia riuscito a leggere francamente o nei
confronti del quale abbia avuto il tempo e la forza di rispondere.
La
sua spiritualità, il suo cattolicesimo, che io definirei non pacificato, si
apparentano bene alla mia disposizione interiore, al dominio della mia
sensibilità umana e poetica.
Alceo Lucidi: Cosa le manca e, di
riflesso, ci manca, di più di una figura come quella di Bo nella società
attuale? Quale pensa sia il più grande insegnamento che Bo, e con lui la
schiera degli uomini di cultura del periodo ermetico, ci hanno lasciato?
Eugenio
De Signoribus: Direi che oggi in Italia manca quasi totalmente lo spirito di
collaborazione e di solidarietà che, invece, fece da humus allo sviluppo di un
contesto intellettuale, come quello ermetico, in cui si misero assieme capacità,
aspettative e speranze per creare un tipo di sensibilità culturale, ma potrei
anche dire umana ed etica, in grado di allargare le prospettive sulla nostra
letteratura ed alimentare un fronte di resistenza civile e di pensiero alle
manifestazioni più degeneri e retoriche del Fascismo. Oggi, al contrario,
sembra tutto così supinamente asservito a logiche conformiste e speculative che
riesce difficile anche solo pensare a quello sforzo collettivo di personalità
diverse - voglio dire con esperienze e formazioni ideologiche ed intellettuali
eterogenee - se non nei termini di un lontano richiamo o di un’esperienza
irrimediabilmente trascorsa. Se solo avessimo il coraggio di farci carico,
assieme e responsabilmente, del futuro di questa travagliata nazione la
situazione non potrebbe che migliorare. Puntando innanzitutto sul futuro dei
giovani e dando loro fiducia.
Ad
esempio, sempre riferendomi al “Premio Gentile Da Fabriano”, dove da qualche
anno hanno accorpato le sezioni prima dedicate distintamente alla poesia e alle
arti visive, ho cercato di inserire nelle rose dei candidati anche dei nomi di
giovani scrittori, ricercatori od artisti che, a mio modo di vedere, si erano
particolarmente distinti nel panorama nazionale, anche se, purtroppo, negli
ambienti della cultura ufficiale, mossi spesso da severe logiche di
appartenenza o profili di interesse commerciale e di immediata visibilità, non
ho riscosso particolare seguito. Secondo me esiste un deficit di speranza nelle
“sorti progressive” della nostra amata patria che va sanato al più presto. Di
questo la classe dirigente ed intellettuale italiana dovrebbe essere cosciente
e farsi carico in qualche misura.
di Alceo Lucidi
Eugenio De Signoribus è nato
nel 1947 a Cupra Marittima, Ascoli Piceno, dove vive. Ha pubblicato i seguenti
percorsi poetici: Case perdute, 1976-1985 (il lavoro editoriale, Ancona
1989); Altre educazioni, 1980-1989 (Crocetti, Milano 2001); Istmi e
chiuse, 1989-1995 (Marsilio, Venezia 1996); Principio del giorno,
1990-1999 (Garzanti, Milano 2000); Ronda dei conversi, 1999-2004
(Garzanti, Milano 2005). I cinque libri sono stati raccolti nel volume Poesie
1976-2007, con la sezione inedita Soste ai margini, 2005-2007 (Garzanti,
Milano 2008). Nel 2011, sempre da Garzanti, è uscito Trinità dell'esodo,
2005-2010.
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